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Homepage STORIA E FIGURE Chiesa della Visitazione
  STORIA E FIGURE
Storia della Provincia
Chiesa della Visitazione
Reliquia cuore di san Vincenzo
Novena del Natale
Figure significative
Beato Marcantonio Durando
Padre Alloatti Giuseppe
Padre Buroni Giuseppe
Padre Ferro Giuseppe
Padre Manzella Giovanni Battista
Padre Pigoli Vasco
Padre Sategna Antonio
Padre Abbo Nicola
Padre Archetto Giuseppe
Padre Visca Sergio
Padre Berghin Guido
Missionari defunti
Chiesa della Visitazione
Chiesa della Visitazione
 
Facciata notturna
 
Prove di pulizia degli affreschi
 
Esempio di degrado
 
Statua dopo il restauro
 
La cupola restaurata

Questo piccolo scrigno d’arte all’angolo delle vie XX settembre e Arcivescovado, nel cuore di Torino, fu costruito tra il 1657 e il 1660 dalla Monache della Visitazione, che nel 1638 avevano aperto il loro monastero in Torino.

La chiesa, in stile barocco, ha una parte principale con pianta a croce greca, “a forma di rosa”, che fin dall’origine era destinata al pubblico; mentre a lato del presbiterio si apre il “cappellone”, un tempo coro delle monache e oggi “santuario della Passione” in cui sono conservati i resti mortali del beato Marco Antonio Durando.

Eretta in previsione della beatificazione di san Francesco di Sales (1661, successivamente canonizzato nel 1665), fondatore insieme con santa Giovanna Francesca Fremiot de Chantal dell’ordine della Visitazione, è attribuita concordemente all’architetto di corte Francesco Lanfranchi che seppe sfruttare l’esiguo spazio sull’angolo dell’isolato creando una pianta a croce greca mossa da cappelle a emiciclo con ampio vano centrale quadrato, su cui s’innalza l’alto tamburo cilindrico della cupola, aperto da grandi finestre che illuminano la chiesa.

L’interno fu subito parzialmente decorato con gli affreschi di Luigi Vannier nella volta del presbitero e con le statue di gesso marmorino di Cristoforo Ciseri nelle nicchie delle pareti. In tempi successivi furono collocate, sopra e sotto le nicchie, le venti telette attribuite a Giovanni Sacchetti.

Verso la fine del secolo XVII, su suggerimento dell’arcivescovo di Torino Michele Beggiamo, il primitivo altare ligneo venne sostituito da un imponente altare marmoreo in cui spiccavano le quattro colonne tortili in marmo nero opera dei “signori Bus della città di Lugano (probabilmente Carlo e Giuseppe Busso) a incorniciare la pala del Vannier raffigurante la visita di Maria SS. alla cugina Elisabetta.

Nel 1730 Filippo Juvarra progettò l’altare “a marmi lustri” per la cappella di sinistra, dedicata a san Francesco di Sales e Alessandro Trona ne dipinse la pala raffigurante il santo che consegna le regole dell’Ordine alla Chantal e alle prime Visitandine.

In previsione della canonizzazione della Chantal, che sarebbe poi avvenuta nel 1768, le monache intrapresero un’opera di restauro e di completamento della decorazione della chiesa. L’altare maggiore fu smontato e rifatto più grande e solenne riutilizzando i marmi precedenti. Il catino del presbitero, danneggiato dalle infiltrazioni che avevano praticamente fatto scomparire i precedenti affreschi, venne occupato dall’ampliamento dell’altare e la parete decorata a lacunari. Venne sostituita la pala del Vannier con una dipinta da Ignazio Nepote (1706-1780) con il medesimo soggetto.
Nello stesso periodo Michele Antonio Milocco (1690-1772) realizzò il grandioso affresco della cupola con la raffigurazione del Paradiso dove viene accolto in gloria san Francesco di Sales.
Nei quattro pennacchi sottostanti, il Milocco raffigurò le virtù teologali.
Questo ciclo di affreschi viene ritenuto il più ampio e completo realizzato dalla mano stessa del maestro, che essendo molto stimato all’epoca e avendo molti incarichi di lavoro, era coadiuvato normalmente dai pittori della sua bottega.
L’opera del Milocco si collega con la decorazione sottostante precedente (statue e telette) con un filo logico preciso che diventa una catechesi visiva.
Le statue e le telette raffigurano personaggi di vita cristiana improntata dalla santità. Per raggiungere il Paradiso, essi sono stati guidati dalle virtù teologali, dipinte nei pennacchi che sorreggono la cupola in cui è raffigurato il Paradiso .
Le virtù teologali sono tre e i pennacchi sono quatto. In realtà la virtù della carità è raffigurata in due pennacchi: nel primo come amore verso Dio e nel secondo come amore verso gli uomini.
Tutto questo fa comprendere come le opere d’arte nell’ambito cristiano non sono puramente espressione artistica, ma insieme sono lode a Dio e catechesi per i fedeli.

L’invasione francese a opera di Napoleone determinò la chiusura del convento con la dispersione delle monache. La chiesa fu utilizzata per un certo tempo come magazzino e stalla. Gli arredi asportabili furono dispersi. Le monache riuscirono a mettere in salvo un crocifisso e due statue lignee del Plura dipinte dal Beaumont, che ancora conservano nel loro attuale monastero sopra Moncalieri.

Dopo la restaurazione, la chiesa fu riaperta al culto sotto la cura di un sacerdote della Diocesi, mentre il monastero attiguo era diventato sede di una conceria. Nel 1830 i Missionari di san Vincenzo poterono acquistare il vecchio monastero e due anni dopo diventarono anche  rettori della chiesa.

I Missionari, sotto la guida beato Marco Antonio Durando, loro superiore provinciale, ebbero cura di restaurare e abbellire la chiesa. In particolare nel 1838, per celebrare il centenario della canonizzazione del loro fondatore san Vincenzo de Paoli, fecero costruire nella cappella di destra un nuovo altare marmoreo a lui dedicato. Qualche anno dopo venne venduta una cascina per ottenere il denaro necessario a opere di consolidamento della cupola, che venne anche restaurata, come pure i due pennacchi a lato dell’organo, che erano andati quasi completamente distrutti. Venne pure rinnovato il “cappellone”, già coro delle Visitandine, dedicandolo alla devozione della Passione di Gesù Cristo e arricchendolo con affreschi e dipinti di Paolo Emilio e Luigi Morgari.

Sul finire del secolo scorso venne intrapresa una grandiosa opera di restauro complessivo della chiesa, prima nella sua struttura esterna e successivamente nell’apparato decorativo interno con il ricupero dello splendore delle opere del ‘600 e del ‘700.
E’ allo studio anche il restauro del “cappellone”.

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